STORIA
Il primo fotografo fu il Sole
Le grandi scoperte dell’uomo, le invenzioni scientifiche e tecniche che segnarono una svolta definitiva alla storia del progresso nell’epoca moderna, non si sono quasi mai verificate per illuminazioni improvvise e definitive del genio di uno studioso isolato.
Le grandi scoperte dell’uomo, le invenzioni scientifiche e tecniche che segnarono una svolta definitiva alla storia del progresso nell’epoca moderna, non si sono quasi mai verificate per illuminazioni improvvise e definitive del genio di uno studioso isolato.
Così è successo per la fotografia che non è
arrivata da un momento all’altro, ma il cui avvento è stato, nel corso
dei secoli, preparato da intuizioni diverse di fenomeni, da ricerche e
conferme.
Già nel XIII secolo il vescovo Alberto Magno
anticipò, senza saperlo, la teoria chimica dell’annerimento prodotto
sugli oggetti dal nitrato d’argento.
La nascita della fotografia è legata anche agli
esperimenti della scienza da cui nacque la chimica, cioè all’alchimia.
Alla fine del Medioevo, gli alchimisti, facendo riscaldare il cloruro di
sodio (il comune sale da cucina) insieme con l’argento, avevano
scoperto che dal sale si liberava un gas, il cloro, il quale,
combinandosi con l’argento, provoca la formazione di un composto, il
cloruro d’argento, che è bianco nell’oscurità ma che diventa violetto o
quasi nero quando è esposto ai raggi del sole.
Era quindi naturale che nascesse l’idea di
utilizzare questa singolare proprietà dei raggi luminosi per ottenere
delle immagini sulla superficie di sostanze chimiche sensibili alla
luce. Nel Settecento illustri chimici tentarono di risolvere il problema
ma più che immagini riuscirono ad ottenere contorni di immagini, cioè
silhouettes (nome che deriva dai singolari esperimenti di Stefano
Silhouttes, iniziatore della moda di farsi fare
il ritratto per mezzo di un pezzo di carta scura, tagliata con le
forbici sul contorno della propria immagine). Il procedimento, che il
chimico tedesco Schulze battezzò già nel Settecento con il nome di
“fotografia”, era il seguente: su una piastra metallica ricoperta di
cloruro d’argento ed esposta alla luce, si posava il corpo di cui si
voleva ottenere la silhouette (una mano per esempio); le parti coperte
dalla mano restavano bianche e il resto della piastra si anneriva,
lasciando il contorno esatto della mano, ma quando la mano veniva tolta
anche la sua immagine si anneriva e si cancellava.
Niepce e Daguerre: i padri della fotografia
Il
fissaggio delle immagini ottenute col sistema fotochimico restava un
problema ancora tutto da risolvere nel 1814, anno in cui Joseph
Nicéphore Niepce, nella sua casa di campagna a Gras, presso
Chàlon-sur-Saòne, sperimentava un nuovo sistema per semplificare
l’incisione sul metallo, perseguendo l’obiettivo di “trovare un mezzo
per indurre la luce a fare il disegno”.
Ed ecco come riuscì, dopo aver costretto il sole a
disegnare, a impedirgli di distruggere la propria opera. Prendeva una
lastra di rame argentato, la ricopriva di un sottile strato di asfalto
(il “bitume di giudea”) e la collocava in una cassetta di legno che
funzionava da camera oscura, di fronte ad una tavole disegnata o
dipinta. Dopo una giornata, le parti dello strato di bitume che erano
rimaste “impressionate”, cioè esposte all’azione della luce riflessa
dalle zone più chiare del dipinto, erano diventate bianche, le altre non
mutavano colore, cioè restavano nere. Allora Niepce immergeva la lastra
in un bagno di essenza di lavanda che scioglieva il bitume non
impressionato, lasciando intatto quello reso bianco dalla luce. Sulla
lastra di rame argentato restava così soltanto il bitume che riproduceva
l’immagine in negativo. Niepce chiamò il procedimento da lui inventato
“eliografia”. Ma come detto questo primo risultato non era lo scopo
finale dell’inventore, che voleva preparare, invece, lastre per stampa.
Per questo motivo, alla fine di questo primo procedimento, Niepce
spandeva sulla lastra trattata un acido, che incideva la parti di
metallo messe a nudo ma che non poteva intaccare la parti ancora
ricoperte di bitume. Questo veniva poi tolto e le parti da esso protette
presentavano, in rilievo, la riproduzione (sempre in negativo) del
disegno. La lastra era così pronta per la tipografia. Ben presto però
Niepce fu tentato di applicare il suo procedimento alla fotografia. Poi
cominciò a usare la camera oscura per ritrarre immagini dal vivo.
Il 5 maggio 1816 così scriveva al fratello Claude: “Ho messo il mio apparecchio sulla finestra aperta della stanza dove lavoro, dirigendolo verso la piccionaia. Ho fatto l’esperimento nl mio solito modo e ho ottenuto sulla carta bianca quella parte della piccionaia che si vede dalla finestra ed una debole immagine anche di questa, che era meno illuminata”. Ventitrè giorni dopo, il 28 maggio, applica all’obiettivo un rudimentale diaframma che renderà più nitida l’immagine. Per cinque anni Niepce lavora accanitamente alla ricerca di materie più sensibili all’azione della luce tentando di tutto. E dopo essere riuscito, nel 1824, a fissare solo i contorni di un paesaggio, ottiene, nel 1826, la prima vera fotografia, proprio da quella finestra dove un decennio prima aveva posto il suo apparecchio, dopo una posa di ben otto ore. L’anno dopo si reca alla Royal Society di Londra per una dissertazione sul suo procedimento, ma si rifiuta di svelarlo per intero e per un difetto di documentazione quanto egli ha comunicato non è accolto agli atti. Tornato da Londra, avvilito ma indomito, Niepce incontra Louis-Jacques_Mandè Deguerre.
Il 5 maggio 1816 così scriveva al fratello Claude: “Ho messo il mio apparecchio sulla finestra aperta della stanza dove lavoro, dirigendolo verso la piccionaia. Ho fatto l’esperimento nl mio solito modo e ho ottenuto sulla carta bianca quella parte della piccionaia che si vede dalla finestra ed una debole immagine anche di questa, che era meno illuminata”. Ventitrè giorni dopo, il 28 maggio, applica all’obiettivo un rudimentale diaframma che renderà più nitida l’immagine. Per cinque anni Niepce lavora accanitamente alla ricerca di materie più sensibili all’azione della luce tentando di tutto. E dopo essere riuscito, nel 1824, a fissare solo i contorni di un paesaggio, ottiene, nel 1826, la prima vera fotografia, proprio da quella finestra dove un decennio prima aveva posto il suo apparecchio, dopo una posa di ben otto ore. L’anno dopo si reca alla Royal Society di Londra per una dissertazione sul suo procedimento, ma si rifiuta di svelarlo per intero e per un difetto di documentazione quanto egli ha comunicato non è accolto agli atti. Tornato da Londra, avvilito ma indomito, Niepce incontra Louis-Jacques_Mandè Deguerre.
Daguerre: furbo e fortunato
Ma
chi era Daguerre? Dominato fin dall’infanzia dalla vocazione per la
pittura, fu condotto dai suoi studi di ottica e prospettiva di fronte al
problema del fissaggio delle immagini ottenute per azione del sole. Nel
1926 apprese che questo problema era stato risolto già da qualche anno
da Niepce. Era subito entrato in corrispondenza con lui, ottenendone
diversi saggi di eliografia. Niepce, a sua volta, aveva espresso il
desiderio di conoscere i risultati di analoghi esperimenti annunciati da
Daguerre, il quale però non potè inviargli nulla in cambio, benchè
continuasse ad affermare di aver scoperto un procedimento diverso da
quello di Niepce, anzi superiore. Il 5 dicembre del 1829, Niepce, che ha
64 anni, e Daguerre, che ne ha 30, firmano un contratto di associazione
in cui i due soci dichiarano di unire le loro forze al fine di
perfezionare le tecniche di fissaggio delle immagini.
Niepce istruì Daguerre su quelle che erano le
tecniche di base del procedimento da lui scoperto, e Daguerre le
perfezionò grandemente, finchè, dopo un anno di collaborazione, capitò
il proverbiale colpo di fortuna.
Daguerre, per puro caso, dimentica un cucchiaio
su una lastra argentata preparato con joduro. Dopo un pò di tempo si
accorge che sulla lastra è rimasta, nitida la sagoma del cucchiaio. Ciò
gli basta per scoprire che lo joduro d’argento è una sostanza
sensibilissima alla luce.
Proprio in quei giorni (siamo nel 1833), muore
Niepce, colpito da trombosi cerebrale. Muore povero e ignorato, mentre
Daguerre continua con i suoi esperimenti sulla base degli insegnamenti
dello stesso Niepce, uniti alle considerazioni sulla sua casuale
scoperta.
Ed ecco il secondo colpo di fortuna. Un giorno il
cielo è nuvoloso e minaccia di piovere. Daguerre, che aveva posto delle
lastre alla finestra, decide di ritirarle per evitare che si bagnino e
le chiude in un armadio. Qualche giorno dopo, quando va a riprendere le
lastre dall’armadio, si accorge, con enorme sorpresa, che, dopo
un’esposizione assai breve di circa quindici minuti, esse danno immagini
limpide, già fissate e sviluppate.
Daguerre capisce che dentro l’armadio,
ripostiglio di numerose miscele chimiche, si deve trovare la spiegazione
di quel miracoloso effetto. C’è stato qualcosa che ha sviluppato
l’immagine in breve tempo, risparmiando la lunga esposizione alla luce
del sole. Con tentativi elementari ma pazienti prova tutte le soluzioni
che ha nell’armadio. Ogni giorno sperimenta con il contenuto di un
diverso barattolo fino a scoprire che la causa di tutto è stato un
recipiente di mercurio, dal quale si sviluppavano dentro l’armadio
vapori aventi la proprietà di svelare e fissare definitivamente
l’immagine.
I
perfezionamenti da lui escogitati sono tanto considerevoli che ormai
egli giudica essere venuto il momento di farsi conoscere come unico
inventore della nuova arte. Ma nel contratto da lui sottoscritto con
Niepce nel 1829, Daguerre si impegnava a riconoscere entrambi gli
associati come inventori della nuova tecnica. Nel 1837, a quattro anni
dalla morte del socio, Daguerre impone al figlio di Niepce di firmare la
seguente dichiarazione: “Io sottoscritto dichiaro con
il presente scritto, che il signor L.J-M. Daguerre mi ha fatto
conoscere un procedimento di cui è inventore... Questo nuovo mezzo ha il
vantaggio di riprodurre gli oggetti dieci o venti volte più rapidamente
di quello inventato da J-N Niepce, mio padre... In seguito alla
comunicazione che mi ha fatto,il signor Daguerre acconsente ad
abbandonare alla società il nuovo procedimento di cui è inventore e che
egli ha perfzionato, a condizione che questo nuovo procedimento porti
solo il nome di Daguerre”.
Daguerre chiamò, infatti, la fotografia con il termine di “daguerrotype”, da cui poi l’italiano dagherròtipo.
LA MACCHINA FOTOGRAFICA
Il principio su cui si basa il funzionamento della macchina fotografica è quello della camera oscura: i
raggi luminosi riflessi da un soggetto illuminato, passando attraverso
un piccolo foro (foro stenopeico) praticato sulla parete di una scatola
chiusa (la camera oscura) proiettano l’immagine capovolta del soggetto
sulla parete opposta alla scatola. La macchina fotografica non è
altro che una camera oscura molto perfezionata: la pellicola
fotografica inserita dietro all’obiettivo raccoglie l’immagine
trasmessa.
I componenti fondamentali
I componenti fondamentali
dell’apparecchio sono la camera oscura, l’obiettivo, il diaframma
l’otturatore, il mirino, il telaio, il telemetro e l’esposimetro.
La camera oscura: costituisce il corpo della macchina ed è una scatola dalle pareti completamente opache.
L’obiettivo: è
costituito da una lente o da un complesso di lenti poste sulla parte
anteriore della camera oscura che permette all’immagine capovolta di
raggiunger la pellicola posta nella parte posteriore.
Il diaframma: è un
meccanismo che regola l’entrata della luce nella camera oscura. È
formato da una serie di lamelle che si aprono e si chiudono a iride, la
cui apertura si può regolare tramie una ghiera secondo determinati
valori.
L’otturatore: è il
dispositivo che permette il passaggio della luce per il tempo necessario
ad impressionare la pellicola, e si aziona premendo il pulsante di
scatto.
Il mirino: è un
dispositivo ottico, composto cioè da lenti, che permette di vedere
quello che si vuole fotografare. Il tipo “reflex” è il più moderno: per
mezzo di uno specchio inclinato a 45° l’immagine viene raccolta
dall’obiettivo e rinviata su un vetro smerigliato sul quale può essere
osservata.
Il telaio: è la struttura portante della macchina, è applicata alla parete di fondo della camera oscura e contiene la pellicola.
Il telemetro: è un dispositivo che controlla la messa a fuoco dell’immagine.
L’esposimetro: è un dispositivo, normalmente incorporato nella macchina, che misura la quantità di luce presente sul soggetto.
Gli accessori
Il grandangolare: permette un’inquadratura più ampia.
Lo zoom: permette di diminuire o ampliare in modo continuo la distanza focale e quindi di avvicinare il soggetto.
Il teleobiettivo: consente di riprendere oggetti a grandissima distanza.
Altri accessori sono:
Il flash: lampada-lampo che emette una grande quantità di luce in una frazione di secondo, contestualmente all’aprirsi dell’otturatore.
Il filtro:
particolare lente, anche colorata, che si applica sull’obiettivo per
accrescere la fedeltà del colore o per ottenere effetti speciali.
Il paraluce: tubo di
materiale leggero che si applica all’obiettivo con la funzione di
proteggerlo dai riflessi di luce che possono dare origine a macchie o a
segni sulla pellicola.
Il treppiede: sostegno che permette pose a “tempo” e fotografie a brevissima distanza con grande nitidezza.
Tipi di macchine fotografiche
La varietà di forma e di dimensione
degli apparecchi fotografici è innumerevole, perchè essi sono destinati a
usi diversi: alcuni sono ideali per le istantanee, altri per fotografie
che richiedono pi alta qualità.
Digitali: sono gli ultimi prodotti della tecnologia digitale. Le fotografie
realizzate con questi apparecchi sono subito disponibili, possono
essere importate su computer o stampate direttamente, anche in casa, e
sono facilmente modificabili con appositi programmi di fotoritocco.
L’apparecchio è dotato di un sensore CCD (Charge Couplet Device = metodo
di caricamento di coppia), una sorta di piccola piastrina rettangolare
costituita da minuscoli elementi sensibili alla luce, su cui i raggi
luminosi producono dei segnali elettrici (cioè digitali). Non esiste la
pellicola: le immagini scattate ed elaborate dal sensore CCD sono
memorizzate su un supporto digitale. Per scaricare le immagini sul
computer il metodo più diffuso è un collegamento diretto tra i due
apparecchi attraverso un cavo USB.
Nella parte posteriore dell’apparecchio è presente un piccolo monito dove è possibile visualizzare le immagini appena scattate ed eliminare quelle non gradite.
Reflex: sono apparecchi usati dai fotografi professionisti e consentono la realizzazione di foto di altissima qualità. In questi apparecchi il fotografo vede le immagini attraverso l’obiettivo “riflesse” (reflex) da uno specchio. Sono apparecchi in grado di catturare i dettagli anche in condizioni di luce precarie e con una sorprendente velocità di scatto.
Compatte: sono fotocamere di dimensioni ridotte e di facile uso che utilizzano ancora i rullini fotografici; il negativo è racchiuso entro caricatori che si introducono rapidamente nell’apparecchio; spesso hanno il flash incorporato. Ideali per lo “scatta e vai”.
Nella parte posteriore dell’apparecchio è presente un piccolo monito dove è possibile visualizzare le immagini appena scattate ed eliminare quelle non gradite.
Reflex: sono apparecchi usati dai fotografi professionisti e consentono la realizzazione di foto di altissima qualità. In questi apparecchi il fotografo vede le immagini attraverso l’obiettivo “riflesse” (reflex) da uno specchio. Sono apparecchi in grado di catturare i dettagli anche in condizioni di luce precarie e con una sorprendente velocità di scatto.
Compatte: sono fotocamere di dimensioni ridotte e di facile uso che utilizzano ancora i rullini fotografici; il negativo è racchiuso entro caricatori che si introducono rapidamente nell’apparecchio; spesso hanno il flash incorporato. Ideali per lo “scatta e vai”.
Polaroid: molto in voga negli anni ’80, producono immagini immediate, visibili pochi secondi dopo l’esposizione, utilizzando pellicole istantenee: la fotografia esce dal corpo della macchina immediatamente dopo lo scatto e si sviluppa in circa un minuto. Come per le compatte, sono dotate di obiettivo fisso, messa a foco automatica, flash incorporato, autoscatto. Il loro difetto sta nella “tenuta” della fotografia, limitata a pochi anni.
Monouso: dette anche “usa e
getta”, sono realizzate con corpo e obiettivo in plastica. Terminato il
rullino si consegna l’apparecchio al laboratorio che provvede ad aprirlo
e a sviluppare la pellicola. In commercio sono reperibili monouso con
flash incorporato e predisposte anche per riprese subacquee.
Subacquee: sono apparecchi a tenuta stagna, molto robuste per sopportare la pressione dell'acqua. Sono dotate di comandi di grande dimensione che permettono la leggibilità anche sott'acqua.
..
TECNICHE DI COMPOSIZIONE
Testo e immagini di questa sezione della lezione sono interamente tratti dal sito:
Nel ringraziare l'autore, Marco, invito lo stesso a
conttarmi qualora la pubblicazione su questo sito ad uso didattico non
fosse gradita: verrà immediatamente rimossa!
Talvolta una bella fotografia, come un quadro o un disegno riescono a
catturare la nostra attenzione in modo tanto coinvolgente da suscitare
in noi forti emozioni e ricordi.
L’estrema sintesi con cui un’immagine riesce a raccontarci una storia,
un evento o semplicemente a documentare fatti e situazioni è qualcosa di
noto da tempo, tuttavia è altrettanto vero che esprimere sentimenti o
anche solo raccontare un fatto riuscendo a trasmettere le stesse
sensazioni provate nella realtà è impresa tutt’altro che banale.
Il problema principale risiede sostanzialmente nella difficoltà di
trasmettere in modo diretto e completo l’intero messaggio non
gradualmente come si potrebbe fare in un romanzo o in un film ma tutto
in una volta.
Risulta quindi evidente che ogni elemento presente nel fotogramma deve
svolgere un ruolo ben preciso e finalizzato alla comunicazione di un
messaggio. Non solo. Sarà fondamentale saper sfruttare anche le
relazioni tra i diversi elementi per “raccontare” la nostra storia.
Il compito si presenta molto complesso ma fortunatamente esistono
alcune regole, talvolta semplici accorgimenti, che ci possono essere di
grande aiuto.
Come in ogni disciplina la meccanica applicazione delle regole non
assicura la realizzazione di una bella immagine tuttavia seguire alcune
linee guida ci può aiutare a costruire un equilibrio compositivo
indispensabile per veicolare con maggiore efficacia il nostro messaggio e
le nostre sensazioni.
Forse la più nota delle regole base consiste nel dividere idealmente la
scena che si vuole fotografare in 9 riquadri intersecando due linee
orizzontali e due verticali. Le intersezioni di queste linee guida
saranno punti validi in cui posizionare gli elementi che avranno ruolo
importante nell’immagine finale. Le righe orizzontali saranno ottimi
riferimenti per posizionare l’orizzonte mentre quelle verticali saranno
utili per posizionare il soggetto principale.
Strutturare una foto in modo da coinvolgere direttamente l’osservatore
come se si fosse trovato con noi al momento dello scatto può essere un
modo molto valido per attirare l’attenzione di chi vedrà le nostre
foto.
3. USARE PROSPETTIVE INTERESSANTI
Spesso un’inquadratura frontale del soggetto risulta banale e noiosa. Molto meglio cercare angolazioni insolite e originali in modo da “incuriosire” l’osservatore. L’effetto sarà maggiore utilizzando un grandangolo o meglio ancora un fisheye.
Molto spesso impostare un’immagine in cui tutti gli elementi sono
disposti orizzontalmente può risultare monotono. Al contrario linee
diagonali o con angolazioni originali attrarranno molto l’attenzione
rendendo l’immagine più interessante.
5. PULIZIA DELL’IMMAGINE
Utilizzate la messa a fuoco per isolare il soggetto principale dallo
sfondo e fate molta attenzione a non includere elementi di disturbo. Se
fosse necessario potremo intervenire con un programma di fotoritocco in
fase di postproduzione. Anche in questo caso sperimentate nuove
prospettive.
6. L’IMPORTANZA DEL CONTESTO
Scattare una foto è come raccontare una storia. Sarà quindi importante
ritrarre il soggetto principale quanto inserirlo in un contesto in modo
da rendere più efficace il messaggio e le sensazioni che si vogliono
trasmettere. Sfruttare a questo scopo la prospettiva e sviluppate
l’immagine su più livelli in modo da mostrare l’ambiente circostante il
soggetto principale.
7. ORIZZONTEPosizionare in modo corretto l’orizzonte è una delle problematiche più discusse in campo fotografico. Prima di tutto assicuratevi che sia ben allineato con i bordi del fotogramma a meno di ricercare effetti compositivi particolari. Evitate poi la posizione centrale, equidistante sia dal fondo che dal bordo superiore del fotogramma. L’ideale è a circa 1/3 o a 2/3 dell’altezza.
8. CORNICE
Una tecnica semplice ma molto efficace consiste nello sfruttare
elementi della scena per incorniciare l’immagine. In questo modo lo
sguardo dell’osservatore sarà focalizzato sul soggetto principale.
L’effetto sarà tanto maggiore quanto più interessante sarà la cornice.
Ricordatevi inoltre di calcolare accuratamente l’esposizione rendendo
scura la cornice ed esponendo in modo corretto il soggetto.
9. ELEMENTI RIPETUTI
Non è sempre necessario includere nel fotogramma tutto quello che si
presenta ai nostri occhi. Spesso è meglio osservare con attenzione la
scena e isolare un particolare interessante e originale. Elementi o
forme ripetute possono essere un buon soggetto. Utili a questo scopo
sono i teleobiettivi e le ottiche lunghe in generale.
10. SIMMETRIE
Sfruttare simmetrie e riflessioni è un’altra ottima tecnica per creare
immagini originali e interessanti. Il soggetto principale ripetuto e
riflesso attira l’attenzione dell’osservatore incuriosendolo e
portandolo a osservare con cura l’immagine.
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A queste 10 regole fondamentali possiamo aggiungere anche:
11. COMPOSIZIONE TRIANGOLARE
Disporre i soggetti in modo tale da tracciare una sorta di triangolo, con il vertice in alto, rende la fotografia stabile visivamente. L'occhio tende a concentrarsi sul soggetto mentre il contorno passa in secondo piano. La stessa composizione si può ottenere sia con gli oggetti sia con un gruppo di persone.
Disporre i soggetti in modo tale da tracciare una sorta di triangolo, con il vertice in alto, rende la fotografia stabile visivamente. L'occhio tende a concentrarsi sul soggetto mentre il contorno passa in secondo piano. La stessa composizione si può ottenere sia con gli oggetti sia con un gruppo di persone.
12. COMPOSIZIONE CIRCOLARE
Nel fotografare un gruppo di persone,
di cui una svolge un ruolo fondamentale nel contesto, si potranno
inquadrare i soggetti secondari tutti rivolti verso il principale, che
così risulterà al centro dell'attenzione anche per chi guarderà la
fotografia. Il soggetto in questione potrà anche essere disassato dal
centro: l'occhio verrà comunque indirizzato dai soggetti secondari verso
il soggetto principale.
14. LA FOTOGRAFIA COME DOCUMENTAZIONE STORICA
Alcuni scatti entrano nella storia,
documentando eventi importanti e bloccandoli nella memoria in eterno!
Ogni tua foto, potenzialmente, potrebbe diventare un documento
storico... Cogli l'attimo!
15. LA FOTO RICORDO
La maggior parte delle fotografie, pur
se scattate non seguendo alcuna di queste regole, sono comunque
importanti quanto meno per chi le ha scattate o per i soggetti
inquadrati, in quanto riportano alla memoria il particolare momento in
cui la foto stessa è stata scattata. Ogni fotografia è un frammento di
vita...
16. I FOTOMONTAGGI
Per ottenere dei fotomontaggi che risultino credibili all'occhio, bisogna assicurarsi che:
- i due soggetti da montare abbiano
uno stesso grado di illuminazione e che la luce, soprattutto, investa i
soggetti dalla stessa parte;
- se il fotomntaggio riguarda una
persona, l'inclinazione e l'orientamento delle teste dei due soggetti
devono essere, quanto meno, simili!
- la risoluzione delle due fotografie da montare non deve essere troppo diversa, per evitare fastidiosi effetti"decalcomania"...
GLI ERRORI DA EVITARE
Controluce: Di regola gli attuali esposimetri delle fotocamere calcolano in maniera corretta l'esposizione, ovvero, la quantità di luce dell’immagine. Comunque, per chi ha cominciato a fotografare da poco, il metodo più semplice per evitare errori, è quello di inquadrare il soggetto con il sole alle spalle del fotografo. In tal modo si esclude dall'inquadratura la fonte luminosa e la macchina fotografica “legge” solo la luce del soggetto principale. In seguito, potrete sperimentare l’utilizzo d’ulteriori tipi d’illuminazione.
Orizzonte Inclinato: Ricordiamoci sempre che l’orizzonte non è per sua natura…inclinato! Pertanto, quando fotografate, cercate di tenere ben dritta la vostra amatissima macchina fotografica.
Fili e Pali: Paesaggi bellissimi sono spesso rovinati da fili e pali presenti anche là dove non dovrebbero essere. E ciò è un’ulteriore dimostrazione di quanto sarebbe necessaria una maggior cura dell'ambiente che ci circonda. Quindi, fate molta attenzione a quanto appare nel mirino o nel monitor della vostra digitale.
Piedi Tagliati: Un altro errore frequentissimo nelle nostre fotografie è quello dei piedi tagliati. Fotografando le persone a figura intera è abbastanza facile sbagliare per distrazione, escludendo dall’inquadratura i piedi dei soggetti fotografati. Mi raccomando…occhio!
Persone tagliate: E' molto brutto quando nella nostra fotografia che ci sembrava perfetta compare sul margine una persona estranea e per giunta 'tagliata a metà' come nell'immagine accanto. Questo risultato si ha quando si fotografa con troppa fretta, senza prestare molta attenzione a ciò che si inquadra.
Il dilettante spesso si concentra solo sul soggetto principale della sua immagine, tralasciando di osservare se nell'inquaratura ci sono elementi estranei.
Attenzione quindi: inquadrate bene ed assicuratevi che nell'inquadratura ci sia solo quello che effettivamente ci deve essere. La vostra foto sarà sicuramente molto più bella.
Occhi Chiusi: E' uno degli errori più ricorrenti quando si fotografano le persone. E ciò accade, soprattutto, con le macchine digitali che hanno delle frazioni di secondo di ritardo tra il momento in cui si schiaccia il pulsante di scatto e quello in cui la foto viene registrata. Non resta che prestare maggior attenzione, e scattare sempre più di un’immagine della stessa scena.
Occhi Rossi: Ciò può accadere quando si fotografa da vicino con il flash ed è dovuto alla forte luce che illumina il rosso dei vasi sanguigni degli occhi dei soggetti fotografati. Per evitare questo brutto effetto in molte fotocamere il flash emette due o tre lampi a breve distanza di tempo. Utilizzate sempre tale funzione. Se si tratta, poi, di un'immagine digitale si può sempre usare il programma di fotoritocco, utilizzando il comando “correzione degli occhi rossi”.
Copricapi strani: un palo che cresce proprio sulla testa del soggetto, uno strano copricapo, un segnale stradale o un albero in testa... Non bisogna dimenticare che la fotografia ha solo due dimensioni e che ciò che si trova dietro la testa del soggetto può apparire, a causa dell'appiattimento della prospettiva, come se fosse parte di essa, con effetti a volte comici a volte meno.
Nell'inquadrare le persone quindi bisogna fare particolare attenzione allo sfondo. Se dietro il nostro soggetto è presente un palo, un albero, un segnale o qualche altra strana struttura, facciamo in modo che esso/a non sorga proprio sulla testa. In genere basta spostarsi lateralmente di uno o due passi per evitare l'inconveniente.
Errore di parallasse: Quando si fotografa da molto vicino può accadere che la porzione di immagine inquadrata dal mirino sia leggermente differente dalla porzione di immagine inquadrata dall'obbiettivo. E' il cosiddetto errore di parallasse. In pratica nell'immagine finale l'inquadratura risulta spostata rispetto a ciò che si vede nel mirino.
Per esempio il fiore della foto accanto appariva per intero nel mirino, mentre l'immagine ne ha riprodotto solo una parte.
Il caso è frequente quando si fanno fotografie con macchine compatte e si inquadra da molto vicino col normale mirino ottico. Non accade invece usando altri tipi di mirino come quelli delle macchine reflex, con cui si inquadra esattamente la stessa porzione di immagine che finisce sulla foto finale.
Immagine mossa: Che peccato! Era così bello quel paesaggio che abbiamo fotografato dal finestrino dell'auto ed invece la foto è così confusa! E' semplicemente successo che il tempo di esposizione è stato troppo lungo e l'immagine è venuta mossa. Questo accade quando l'esposimetro della macchina fotografica (quello che stabilisce quanta luce deve entrare al momento dello scatto) 'vede' che la luce della scena è poca e per compensarla allunga troppo il tempo di scatto.
Il rimedio è di fare in modo, con una regolazione manuale, di non scendere al di sotto del tempo di scatto di almeno 1/200° di secondo.
Se poi la vostra fotocamera ha la selezione di vari 'programmi' di esposizione forse avete sbagliato a selezionare il programma. Per fare foto in movimento è necessario usare un programma che selezioni un tempo di scatto veloce, denominato, secondo i casi, Sport o Movimento o con parole simili, in genere in inglese. Il programma Paesaggio non va bene in questo caso perché si riferisce ad una fotografia fatta 'da fermo' (leggete i libretto di istruzioni!).
Ma, ancora una volta, per chi non se ne intende troppo, c'è una soluzione più a portata di mano: fermare l'automobile (se è possibile e senza intralciare il traffico...) e fotografare con tutta calma!
Immagine sfocata: La stragrande maggioranza delle fotocamere moderne è autofocus possiede cioè un sistema di messa a fuoco automatica. Perquanto tali sistemi siano oggi di gran lunga migliori di quelli di alcuni anni fa, a volte vanno ancora in tilt (almeno quelli meno sofisticati), producendo così immagini sfocate.
Può succedere ad esempio quando si fotografa attraverso una rete o un vetro non del tutto trasparente, quando il soggetto è in veloce movimento o quando nell'inquadratura sono presenti taluni elementi grafici ripetitivi, superfici specchiate, riflessi. Può inoltre accadere quando la luce non è sufficiente.
In tutti questi casi è sicuramente meglio selezionare la messa a fuoco manuale, se la fotocamera ne è dotata. Infatti una volta fatta la fotografia, sia essa su pellicola o digitale, la sfocatura non si può più correggere e nemmeno i programmi di fotoritocco professionali possono porvi rimedio.
Immagine sovresposta: Una fotografia sovraesposta (in gergo fotografico bruciata) appare troppo chiara e nelle zone più luminose dell'immagine i particolari non risultano visibili a causa della eccessiva luce. Al momento dello scatto in sostanza è passata più luce di quanto fosse necessaria. I motivi possono essere diversi. Se si è usata la fotocamera in automatico forse l'esposimetro (il dispositivo che misura la luce) non funziona bene o qualcosa lo ha sregolato. Per esempio potrebbe avere influito un grosso oggetto scuro vicino alla zona dell'immagine.
Se la macchina è stata usata con la regolazione manuale sicuramente si è sbagliata l'impostazione del tempo di scatto o del diaframma. Per correggere un'immagine sovraesposta non c'è molto da fare. Si può tuttalpiù farla stampare di nuovo. Il laboratorio fotografico al momento della ristampa cercherà di correggerla, almeno nei limiti del possibile. Se si tratta di un'immagine ottenuta da una fotocamera digitale si può tentare di correggerla un pò con un programma di ritocco fotografico.
Immagine sottoesposta: Caso analogo ma opposto al precedente. Si tratta di una foto che appare troppo scura perché, al momento dello scatto, è passata troppo poca luce. Anche qui le regolazioni sono state ingannate da qualcosa: ad esempio una vasta superficie chiara. E' un caso piuttosto frequente quando si fotografa al mare in pieno sole o sulla neve perché l'esposimetro può essere ingannato dalla molta luce presente nella scena chiudendo più del necessario il diaframma. Oppure si può essere trattato di un nostro errore.
Anche in questo caso il laboratorio fotografico potrebbe ristampare l'immagine cercando di correggerla un pò. O, se si tratta di una foto digitale, si può tentare di fare qualcosa con un programma di fotoritocco.
Prospettiva Distorta: Quando un edificio viene fotografato dal basso assume la classica forma a piramide. L'unico rimedio è quello di allontanarsi e riprenderlo da una certa distanza. I professionisti, a tal fine, utilizzano degli obiettivi particolari (molto costosi!) che muovendo le lenti anteriori riescono a raddrizzare la prospettiva. Se possibile, si può anche salire su un edificio vicino, e scattare così la foto da una certa altezza.
Fonti:
Foto che passione - (Sito Internet)
"Progetto Tecnologia - Vol.B" (Benente, Ferraiolo, Vitale - Ed. Paravia)
http://www.clubnoi.it/index.php/fotografando/447-otto-errori-fotografici-da-evitare
http://www.fotochepassione.com/errori/errori.htm